A casa, in famiglia, durante il lockdown. Area Welfare e comunità 26 Ottobre 2020 26 febbraio 2020: mio figlio compie quattro anni. 26 febbraio 2020: è previsto il ritorno a scuola dopo la breve pausa per la festa di carnevale con l’ inizio del lungo periodo della Quaresima. Quel mercoledì la scuola non ha riaperto, io sono andata a lavoro, prendendo le precauzioni del caso e immaginando come poter far fronte alla diffusione del virus, senza sapere, da lì a pochi giorni, come sarebbe andata. Da quel mercoledì, al 14 settembre la vita è un po’ cambiata... Sono diventata mamma all’età di trent’anni con una gioia immensa, per un minuscolo nuovo compagno di viaggio che giorno dopo giorno è cresciuto fino ad oggi accompagnato da molte persone e circondato da tanto amore. Quando ha compiuto un anno ho avuto l’opportunità di affidarlo ai nonni e riprendere la vita lavorativa che si snodava su due fronti e che mi teneva un po’ lontana. Poi la strada si è fatta più lineare, ho ripreso in pugno quello che per molti mesi – sempre con molta gratitudine – avevo tralasciato perché le priorità erano differenti. Per far quadrare il cerchio ho fatto salti e passi più lunghi della mia gamba, ma si sa, il cerchio non sarà mai un quadrato. Sono cresciuta pensando – perché me l’hanno insegnato – che ciò che mi è affidato è messo nelle mani per crescere attraverso le cure migliori, che si tratti di un incarico lavorativo o di una relazione: innaffiare con l’acqua del sudore e delle lacrime, di gioia o fatica, perché grazie alla sola forza delle tue mani puoi salire fino alle stelle, ma anche tornare precipitosamente a terra. Il periodo marzo aprile 2020 in cui le porte si sono chiuse dietro di noi, incastrandoci in casa, mi ha permesso di usare tutte le forze che avevo per permettere a mio figlio di sentirsi amato come merita e importante per tutto quello che rappresenta. Abitiamo, fortunatamente, in un luogo che permette di prenderci i nostri spazi, di aprire la porta e fare due passi nel prato. Certamente in quel periodo il lavoro per me non si è fermato, ma lo smart working connesso alla presenza dei figli è difficilmente attualizzabile e ce ne siamo accorti ogni volta che quel computer si accendeva e lui mi saltava in spalla, o sulle gambe perché “mamma anch’io voglio lavorare”, “mamma ti aiuto”, “mamma voglio vedere il cuoco pasticcione!” Grazie al supporto delle insegnanti della scuola dell’infanzia, anche i più piccoli hanno avuto l’occasione di mettersi alla prova con attività manuali e semplici elaborati che poi insieme abbiamo collocato in vari spazi della casa come abbellimento e, perché no, per passare il tempo divertendoci. La famiglia, almeno la mia, in quei mesi è stata messa alla prova, sbattuta davanti ai suoi lati positivi e ai suoi motivi di fragilità, tornando più volte sugli stessi argomenti, sugli stessi inciampi: un triangolo in cui tutte le tre parti hanno autonomia e qualcosa da dire, nella stessa misura importanti e pregni di significato. Ho percepito molto chiaramente il passare dei giorni nei cambiamenti quotidiani che ho assaporato con mio figlio. Ho spesso ringraziato il periodo di chiusura perché mi ha permesso di essere presente, di soffermarmi e fermarmi di rinvigorire la relazione madre – figlio in una reciprocità semplice e alle prime armi, ma che spero rimanga in lui, per il suo percorso di vita. Barbara – Animatore socio culturale